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La Catastrofe

In quest'ultima parte le fila del dramma si stringono in modo serrato e gli eventi precipitano verso l'epilogo finale. Nonostante i tentativi di Mamma Roma di riacquistare una rispettabilità, Carmine l'ha costretta con le minacce a tornare sul marciapiede per evitare che il figlio conosca il suo passato. Ma anche questo compromesso è inutile: Ettore ha saputo da Bruna della doppia vita della madre ed ha abbandonato il lavoro al ristorante per unirsi definitivamente al gruppo dei ragazzi di strada.

Il tema dell'impossibilità di riscattarsi dal marciapiede non è un semplice elemento narrativo della vicenda filmica, ma sembra assumere nella visione pasoliniana una valore di metafora della condizione degli "oppressi", condannati a rimanere comunque tali. L'idea metafisica e impersonale della sorte che perseguita gli emarginati, confinandoli sempre di più, a dispetto dei loro sforzi, in un destino di sofferenza e di morte, era comparso con efficacia drammatica nella sequenza precedente che vedeva Mamma Roma, tornata a seguito delle minacce di Carmine, sulla strada, intenta ad affabulare sul proprio passato in chiave non più irridente e grottesca ma con accenti di verità e di dolore: " E tu lo sai perché mio marito, il padre di Ettore era una farabutto disgraziato ? " " Perché la madre era una strozzina e il padre era un ladrone, perché il padre della madre era un boia .e la madre del padre era un'accattona ….. tutti morti de fame. Se avevano i mezzi erano tutte persone per bene ..…De chi è la colpa qua, de chi è la responsabilità?…. Spiegamelo Tu allora, perché io non so' nessuno e Tu se' il Re dei Re ".

Nell'immagine iniziale di questa nuova sequenza Ettore rifiuta apertamente la madre che lo insegue impotente vedendolo defilarsi col gruppo. Lo sguardo della madre segue il figlio prima con una soggettiva reale, poi con una finta soggettiva che segue la scomparsa del gruppo. Il rapporto di Ettore con il gruppo richiama uno dei motivi centrali della narrativa del primo Pasolini. Il gruppo è infatti uno dei fattori di più forte condizionamento sulla personalità fragile e immatura del ragazzo: i ragazzi della nuova periferia metropolitana costituiscono una sorta di "branco" che salda insieme il vuoto di valori e l'inconsistenza totale di intenti e progetti con il culto della forza e l'attitudine alla prevaricazione verso i più deboli ( vedi la scena dello stupro di Bruna). Proprio per queste caratteristiche finisce per esercitare sul protagonista una sorta di 'attrazione fatale'.

Ettore rompe anche il suo legame con Bruna, colpevole di avergli rivelato il segreto della madre: in un brevissimo incontro con la ragazza Ettore rinnega nuovamente la madre; è il terzo tradimento nei suoi confronti, che sembra alludere al triplice rinnegamento di Pietro nel Vangelo. La figura di Bruna rivestiva per il protagonista una valenza positiva dal punto di vista affettivo: Bruna è una giovane ragazza-madre, etichettata dal branco come " donna di tutti"; in realtà fin dalla prima immagine il regista ce la descrive, con un'iconografia da "Madonna popolare", come una creatura ingenua e naturale, capace di spontaneità e di corporea tenerezza verso il bambino che l'accompagna e anche verso lo stesso Ettore.

I segni della malattia sono già visibili in Ettore. Pur febbricitante, decide, contro il parere del gruppo, di tentare il solito furtarello all'interno dell'ospedale. Colto in flagrante, viene arrestato e portato nell'infermeria del carcere.

Da questo momento il film propone cadenze e richiami iconografici propri di una Passione. In un testo poetico tratto dalla raccolta "Poesia in forma di rosa", composto contemporaneamente alla realizzazione del film, di cui costituisce una sorta di diario in versi, l'autore stesso sembra suggerire questa interpretazione, parlando di una "passione popolare".

La prima "stazione" di questa Via Crucis è rappresentata dal locale dell'infermeria del carcere. Bianca ed essenziale, quasi ieratica, l'ambientazione; il carattere funerario, da vestibolo dell'Inferno, proprio della scena, è chiaramente espresso dalla recitazione, apparentemente irrealistica, dei versi iniziali del quarto canto dell'Inferno dantesco, da parte di uno dei detenuti presenti.

Ricompare una delle cifre stilistiche ricorrenti nel film: l'accostamento voluto tra il sublime (la Commedia di Dante) e l'infimo ( i volti plebei dei detenuti) . In modo del tutto ingiustificato e inatteso uno dei personaggi intona il motivo del Violino tzigano. La melodia , così strettamente legata alla figura della madre, scatena in Ettore una crisi convulsiva violenta, accompagnata dal delirio, che lo conduce ad essere legato sul letto di contenzione.

La scena successiva, aperta dalle note dolenti e pietose della musica di Vivaldi , inquadra Ettore chiaramente "crocifisso" sul pancone di legno della cella, nuovo Cristo dei suburbi. Il commento musicale, tratto dal Concerto in do maggiore di Vivaldi, esprime con pathos intenso e contenuto il tema della pietà, una pietà universale che accomuna e compiange tutte le vittime del dolore. In altri punti del film la musica di Vivaldi entra invece a sottolineare le sequenze più drammatiche dando voce al tema del destino e accompagnando in un voluto contrasto gli aspetti sordidi dell'esistenza con un commento sublime

Le immagini, di grande intensità drammatica, sono fitte di richiami pittorici. La prospettiva con cui è inquadrato il corpo giacente del ragazzo, richiama , nonostante gli espliciti dinieghi di Pasolini, il Cristo Morto di Mantegna. La scena ritrae il giovane steso su una sorta di letto, legato mani e piedi e con in volto uno sguardo assente, perso nel vuoto. Nel viso del figlio ritroviamo la stessa tragicità e lo stesso dolore che caratterizzano il volto del Cristo del Mantegna. Nell'immagine, come nell'opera pittorica, risalta l'orrore per la morte vista come la fine di tutto ciò che c'è di positivo nella vita e la pietà per il martirio del giovane.

La luce che filtra dalla grata ricorda inoltre il gioco luministico presente nel quadro di Raffaello raffigurante S. Pietro in carcere. Le parole sussurrate da Ettore nell'agonia sono un lamento e un'invocazione rivolta alla madre, ritrovata sul filo della morte.

Tra figlio e madre - ormai sempre più anch'essa la Mater Dolorosa della Passione, si ristabilisce una sorta di dialogo a distanza. L'inquadratura successiva - un primissimo piano di Anna Magnani con forti chiaroscuri - è un'immagine di essenziale intensità tragica, che condensa in sé il nucleo drammatico ed esistenziale della vicenda..

La recitazione appassionata dell'attrice costituisce sicuramente uno dei punti di forza del film, al di là della volontà e delle intenzioni del regista che avrebbe preferito forse un'interpretazione meno naturalistica. L'impatto drammatico del personaggio è peraltro un'emanazione spontanea del temperamento e della sensibilità recitativa di Anna Magnani che ha conferito spessore e carica umana a tutte le figure femminile da lei interpretate nella sua fertile carriera, a cominciare dalla stagione del cinema neorealista. Nel film dunque si alternano gli accenti schiettamente popolareschi della recitazione della protagonista con i toni talora grotteschi, talora 'straniati', talora simbolici di altre sequenze recitative.

Nelle ultime scene si infittiscono i richiami sacrali: il pane spezzato dalla madre, il suo trascinare stancamente il carretto come la croce di una moderna Via Crucis, il tentativo consolatorio del Buon Samaritano nelle vesti di uomo del popolo ("E' acqua che passa, è acqua che passa" riferito alle tribolazioni della vita), il coro delle figure dolenti che accompagnano la madre nell'annuncio tragico della morte. Il commento musicale assume i toni solenni di un requiem. In queste immagini trova espressione il cristianesimo populista e eterodosso del regista: possiamo trovare un richiamo esplicito a queste ultime scene in alcuni versi della già citata raccolta ' Poesia in forma di rosa ': " Poi visione. La passione popolare / (una infinita carrellata con Maria / che avanza, chiedendo in umbro / del figlio, cantando in umbro l'agonia )."

L'epilogo vede Ettore ormai irrigidito nella morte e Mamma Roma, sconvolta dalla notizia, che corre disperata, inseguita dalla gente del popolo che le è vicina, verso casa, per mettere in atto un gesto estremo. Questa immagine è un'esplicita citazione cinematografica da uno dei più significativi film del neorealismo italiano "Roma città aperta" di Roberto Rossellini, in cui la stessa attrice si lancia in una disperata corsa nel tentativo estremo di strappare ai nazisti la persona cara.

La finestra aperta, da cui la protagonista cerca di gettarsi, inquadra un'ultima volta , attraverso l'uso della soggettiva, la desolata Roma delle periferie. ( ancora da ' Poesia in forma di rosa ' : " …. Sono altari / queste quinte dell'Ina Casa, / in fuga nella Luce Bullicante, / a Cecafumo. Altari della gloria / popolare ). Questo fotogramma compare soprattutto nell'ultima parte del film come cerniera e stacco fra le diverse sequenze, quasi a ribadire all'interno della vicenda il ruolo sommerso della città, insieme madre e matrigna, sfondo impassibile e indifferente dell'irrazionalità delle vicende umane. Monumento del degrado urbano prodotto dal boom economico, la nuova Roma è insieme l'espressione della degenerazione morale e della insignificanza delle esistenze che vi si svolgono.

L'ultima immagine, fermata dallo sguardo allucinato di Anna Magnani, chiude a mo' di suggello il film, quasi a suggerire che la città stessa, con le sue inestricabili contraddizioni, sia in qualche modo un'altra protagonista, il teatro che rende possibile l'inesorabile catena degli eventi.

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